martedì 10 dicembre 2019

Rette parallele?



L’universo è composto da miliardi di galassie al cui interno esistono miliardi di sistemi solari più o meno simili al nostro e, se pur pochi i pianeti che possono avere le caratteristiche necessarie ad ospitare la vita, con cifre del genere parliamo di almeno un milione di pianeti potenzialmente idonei. Possibile che viviamo in un immenso condominio e pensiamo di esserne gli unici inquilini? Come mai, allora, ancora non abbiamo incontrato civiltà aliene? “Dove sono tutte quante?” si chiedeva il premio Nobel Enrico Fermi, mettendo in discussione quello che era un calcolo statistico noto come “equazione di Drake”. Ecco, stiamo parlando del famoso “paradosso di Fermi”. Ci sono varie teorie proposte come soluzione. Intanto, perché si possano sviluppare forme di vita intelligenti su un pianeta occorrono diversi fattori che debbono combinarsi contemporaneamente: distanza dalla stella, durata dell’abitabilità del pianeta sufficientemente lunga da permettere lo sviluppo di una civiltà evoluta e così via. Per far si che poi due civiltà siano così tecnologicamente sviluppate da potersi trovare e comunicare tra loro occorrono tanti altri fattori, tra cui la contemporaneità, oltre che la relativa vicinanza, in termini di anni luce. In un universo che si stima abbia più di una dozzina di miliardi di anni potrebbe facilmente capitare che le civiltà più evolute non siano contemporanee, o che siano troppo distanti e quindi destinate a non incontrarsi mai. Come due rette parallele.
Ora, pensiamo per un attimo di applicare questi concetti nei rapporti umani e, in particolar modo, nell’amore.
Per gli stessi analoghi motivi, molte persone non trovano nella loro esistenza quello che molto romanticamente qualcuno definisce l’altra metà della mela, l’anima gemella, la persona ideale. Su un pianeta, dove ci sono più di sette miliardi e settecento milioni di abitanti, dov’è la nostra anima gemella? Il paradosso di Fermi dell’amore. Sicuramente per ognuno di noi c’è una persona giusta che può accompagnarci per tutto il cammino della nostra vita. Tuttavia in molti casi non la riconosciamo, o l’incontriamo troppo presto o troppo tardi, oppure semplicemente capita che non l’incontriamo affatto. Di nuovo rette parallele. Così molti trascorrono la loro vita in tentativi di vivere come rette coincidenti. Un po’ come fa il S.E.T.I., il programma di ricerca di vita intelligente voluto proprio da quel Frank Drake di cui sopra, nel 1960 e attivo ufficialmente dal 1974. Quarantacinque anni, una vita appunto.
Ogni volta ci si illude di aver incontrato il segnale giusto, la retta coincidente. ma poi ci si accorge che era un segnale radio emesso da una radiosorgente qualsiasi.
Beh, diciamo che in amore è un po’ meno tragica ed estrema la cosa. C’è una pur piccola percentuale di coppie felici che restano insieme tra le onde gravitazionali della vita per tutto il tempo concesso dal loro orologio biologico. Per molti, però, non è così e le tipologie sono tante.
Ci sono alcuni che non si arrendono mai e cercano per tutta la loro esistenza, altri che si arrendono e trovano un proprio equilibrio di single a tal punto che se capita davvero di incontrare una potenziale persona giusta sono oramai chiusi al cambiamento, timorosi di rischiare inutilmente di perdere quell’equilibrio faticosamente raggiunto per un tentativo il cui esito è incertissimo. E poi ci sono quelli che si adattano. Non hanno trovato proprio un’altra civiltà evoluta, ma almeno è comunque una forma di vita. Un po’ come quelle vecchie zitelle col cane o il gatto che fa da surrogato affettivo. E poi quelli che “lo faccio per i figli.”, poi tutta la casistica delle coppie omosessuali, le cui dinamiche presentano varie sfumature a causa della non accettazione piena nell’attuale società, e poi, e poi, e poi…
Insomma, concetti come l’equazione di Drake, il paradosso di Fermi o lo stesso progetto di ricerca S.E.T.I. finiscono per essere più semplici dell’amore. Questo perché si basano su un sistema binario: 0 o 1. O ci sono altre forme di vita o non ci sono.
In amore, invece, ci sono “cinquanta sfumature di grigio, di rosso e di nero” e le tipologie di casi possibili sono, perciò, innumerevoli. Niente sistema binario. Decimale sicuramente. Conosco tante coppie felici, tra gli amici o già semplicemente pensando ai miei genitori. Ma i nostri genitori, o almeno di chi è della mia generazione, facevano parte di quel periodo che precede la legge sul divorzio. In un rapporto Istat del settembre 2018 si rileva che i matrimoni sono in netto calo, mentre sono in netto aumento i divorzi e le unioni civili. Due epoche nettamente distinte che potremmo definire ante e post divorzio (a.d. e p.d.). Nell’epoca a.d., decisamente patriarcale, i matrimoni si accettavano e basta, come la religione. Con la legge sul divorzio tutto è progressivamente cambiato e si è sempre meno disposti a sopportare. Così accade che anche quelle rette che venivano spacciate per coincidenti, magari erano solo adiacenti, o addirittura parallele e, nel p.d., arriva il “Ti lascio” fatidico, a volte anche con eccessiva facilità.
Fra le tante tipologie di rapporti e di ricerche della persona giusta la più tragica, che tinge continuamente di rosso la cronaca, è quella del proprietario. Una violenta categoria nella quale rientrano tutte quelle persone che credono di aver trovato più che l’anima gemella l’oggetto giusto che, quindi, diventa di loro esclusiva proprietà. Concetto che quasi sempre viene ribadito con violenza, fisica e psicologica. Il termine femminicidio è stato coniato di proposito per indicare tutti quegli oggetti che hanno provato, al prezzo della vita, ad emanciparsi a persone. Una sorta di tante burattine di legno che cercavano disperatamente di diventare umane, come nella nota favola di Collodi, ma per le quali il loro personale finale non è quasi mai altrettanto a lieto fine. Anche su questo ci sarebbe da scrivere tanto.
Eppure, tra quasi otto miliardi di persone che consumano e inquinano il pianeta come una distesa enorme di cavallette, ci sarà pure una persona che fa per noi, no? Già, ma dove. Quando ero poco più che adolescente scrissi, speranzoso, con la mia tratto-pen rossa sul diario scolastico (chi non l’ha mai fatto?):

Come il primo giorno

Un amore è bello
quando resta come il primo giorno,
fino a che non diventa abitudine.
Poi diventa solitudine spesa in due.
Quel giorno l'amore morirà
fra i morbidi cuscini della sopportazione.
Fa che il nostro amore
non divenga mai abitudine e sopportazione.

Non so dire quel fa a chi fosse rivolto, né di quale amore parlassi, perché ancora non avevo avuto una ragazza. Avete presente l’adolescente della pubblicità che afferma orgoglioso “Mai avuto carie in vita mia!”? Ecco, una cosa del genere. Io magari con meno orgoglio. Forse fu solo una preghiera preventiva, Hai visto mai che funziona…”, oppure una tragica intuizione. Chissà. So di averlo scritto a modo mio, con l’ottica di un adolescente che sognava l’Amore, quello con la A maiuscola, ma quanti hanno pensato la stessa cosa. Con il lavaggio del cervello che ci facevano con tutti quei film romantici e con l’esempio dei nostri genitori, come si poteva non pensare a concetti simili.
Adesso non voglio stare qui a parlare delle rette e della geometria della mia vita personale. Trovo più interessante, invece, parlare delle combinazioni legate alle nostre scelte, che tutti i giorni compiamo nella vita, e che hanno un risvolto più o meno determinante sul nostro percorso. Di come queste scelte si ramificano in un groviglio di strade, nel quale a volte ci perdiamo, o che ci portano alla destinazione sperata. Si nasce e si entra in un labirinto che varia e si sviluppa in base alle porte che scegliamo di attraversare di volta in volta, al contesto familiare e sociale in cui cresciamo e a quanto siamo condizionabili da esso (parafrasando il paradosso dei gemelli, proposto nel vano tentativo di screditare la relatività ristretta, fate crescere due gemelli in due contesti socio-culturali diametralmente opposti e avrete due individui totalmente differenti).
Non pensate ad un labirinto bidimensionale. Pensate, piuttosto, a qualcosa come il labirinto di Escher, dove a volte le scelte ci portano in alto, ma altre volte in basso, sfidando le leggi della gravità. Ma questo labirinto non è preesistente. Come ho detto si sviluppa man mano che procediamo. Il caso stende il filo, l’Uomo ci cammina sopra, e non è che il filo vada sempre dritto, come quello su cui cammina un equilibrista, ma segue infinite traiettorie casuali. Se preferite, pensate al film di Peter Howitt “Sliding Doors”. Perdere o non perdere la metropolitana in una mattina qualunque cambia radicalmente la vita della protagonista.
La nostra vita è un continuo susseguirsi di Sliding Doors e le nostre scelte non sono sempre consapevoli del percorso a cui ci condurranno. Siamo obbligati a scegliere, spesso ipotizzando solo dove porterà quella scelta, oppure perché in quel momento ci appare la scelta migliore. Accettiamo o rifiutiamo un lavoro. Non notiamo il/la ragazzo/a bruttino/a delle medie inconsapevoli che potrebbe essere la persona giusta per noi, poi magari lo/la rincontriamo quarant’anni più tardi, per caso, e dopo una lunga chiacchierata davanti ad una pinta di birra tra vecchi compagni di scuola ci si apre un mondo. Ecco, mi piace pensare, e giocare a crederci, che, come nel film di Howitt, ogni nostra scelta dia inizio a tanti mondi alternativi per quante sono le scelte possibili. La nostra vita prosegue anche nelle direzioni non prese e così all’infinito. In almeno una di queste vite parallele c’è certamente un noi felice, che ha imbroccato la scelta giusta. La fortuna sta nel trovarsi nella realtà giusta tra tutte le infinite possibili.
In fondo, nella fisica teorica c’è una teoria che cerca di conciliare la relatività generale con la meccanica quantistica, ancora in fase di sviluppo, nota come “teoria delle stringhe” che, semplificando, porta alla teorizzazione di infiniti universi paralleli il cui insieme coesistente è definito Multiverso. In tutti questi universi ci sono tutte le scelte possibili sviluppate nello spazio-tempo. Fico, no? Magari c’è una dimensione nella quale il 4 maggio del 1949 il Fiat G.212 non si schianta contro la collina di Superga e il Grande Torino continua ad imperversare nel campionato italiano, vincendo tutti gli scudetti che, invece, in questa realtà, hanno vinto i cugini bianconeri. Magari in un’altra c’è un ragazzo che ha avuto il coraggio di affrontare la propria omosessualità e, invece di sposarsi, si dichiara al compagno di banco. Un’altra ancora dove due individui si incontrano trent’anni prima rispetto ad un’altra realtà, evitandosi una serie di disastri personali. “Come in cielo, così in terra.”, mi verrebbe da dire. Chissà. Magari. Tuttavia Hawking, nel suo ultimo lavoro, ha ipotizzato una sorta di limite all’infinità di possibili universi, raffreddando un po’ il mio entusiasmo.
Solo un esercizio mentale.
E se invece fosse tutto sbagliato? Non tanto tutto il filo del discorso. Sul nostro pianeta ci sono effettivamente quasi otto milioni di abitanti e l’universo è realmente popolato da milioni di potenziali pianeti che potrebbero ospitare la vita.
Se fosse il presupposto ad essere sbagliato? Non esiste la persona giusta in senso assoluto. Tutti possono essere potenziali anime gemelle. È il modo in cui interagiamo con gli altri, il modo di porci e di capire gli altri, il nostro livello di empatia e capacità di saper trasmettere ciò che realmente siamo a rendere un rapporto, una relazione, valida e duratura. Quanto sappiamo veramente chi e cosa vogliamo? Perché sembrerà scontato, ma non è così. Molti capiscono cosa vogliono realmente dalla vita quando si è già in là con gli anni e dopo tante delusioni. Potrebbe essere? In fondo, noi chi siamo? Come ci vedono gli altri? Come siamo davvero? Cosa ricorderanno di noi gli altri quando non ci saremo più oppure quando, ad esempio, il rapporto con alcuni sarà in qualche modo interrotto? Cosa sopravvive di noi? Come ci ricordano tutte quelle persone che per mille motivi abbiamo perso per strada?
L’unica cosa che sopravvive di noi è il ricordo che lasciamo negli altri. In vita, come dopo la morte, ciò che più conta è l’immagine che diamo di noi, ma non sempre corrisponde a ciò che effettivamente siamo. Eppure quello che trasmettiamo agli altri è fondamentale e determinante e se non siamo capaci di esteriorizzare correttamente noi stessi, contribuiamo a lasciare di noi un’immagine sbagliata.
Ma basta? Tutto qui? Insomma, non troviamo altre forme di vita perché le cerchiamo a nostra immagine e somiglianza ed invece la vita ha infinite forme possibili? Forse, ma c’è da dire che nei rapporti di coppia, per definizione appunto, bisogna essere in due a porsi in un certo modo reciprocamente. L’amore si dimostra, non si proclama, ma a farlo bisogna essere in due. Altrimenti non funziona comunque.
Siamo punto e a capo. Qual è la verità?
Forse semplicemente che nell’universo niente è eterno né immutabile. Perché allora dovrebbe l’amore non rispettare le leggi inviolabili della fisica? Si tratta solo di questo? Tutto ha un inizio e una fine, dalle forme di vita alle civiltà evolute, dal più piccolo dei pianeti allo stesso universo. Nulla è per sempre. Neanche i diamanti, in fondo, se rapportati alla durata dell’universo così come lo conosciamo, sebbene una famosa pubblicità dica il contrario. Ma si sa, la pubblicità è ingannevole per natura come lo è spesso l’amore. Dunque anche i rapporti umani sono sottoposti a questa semplice legge. Nascono, crescono, invecchiano e finiscono. Come qualunque civiltà nella Storia, come qualunque essere umano. Quello che cambia è solo la durata. Per cui, ai nostri occhi mortali, alcune cose ci sembrano eterne, e forse anche i sentimenti. Ma non è così. Altre volte “il vero amore”, quello delle favole, dura quanto una rosa o una farfalla.

Per un giorno

Per un giorno soltanto
vorrei che per un attimo il mondo
si fermasse a guardarci, stupiti di tanto,
e convinti di un nuovo miracolo
prendesse ad imitarci.

Che un amore possa restare come il primo giorno, come scrivevo sul mio diario scolastico di seconda media superiore, è solo un romantico sogno adolescenziale. Prima o poi subentra l’abitudine, la sopportazione e la solitudine spesa in due e sul diario avrei fatto bene a limitarmi a scrivere i compiti per il giorno dopo.
Gli adolescenti. Son fatti così. Si riempiono la testa di mille cose, si innamorano di mille idoli che poi cercano nella vita reale e puntualmente restano delusi. Dalla vita reale ma, a volte, anche dagli idoli. Forse oggi, rispetto alla mia generazione, anche di più, giacché la vita reale ha uno spazio sempre più ridotto dai social e dai cellulari. Ma questa è un’altra storia.
Dunque ancora mi chiedo: che tipo di rette siamo? E che tipo di rette possiamo aspirare e sperare di essere? Almeno adiacenti? Rette in movimento? Mi sa che non esiste in geometria questo concetto. O no? Certo in fisica esiste la singolarità gravitazionale, che potremmo definire come un’eccezione alle regole così come le conosciamo. Almeno nella fisica di Einstein. Nei buchi neri ad esempio. Quindi anche in amore potrebbe esserci di tanto in tanto una singolarità, con la stessa frequenza con cui nell’universo ci sono i buchi neri. In realtà negli ultimi decenni la fisica teorica, attraverso la teoria della gravità quantistica a loop, si è cercato di mettere in discussione l’esistenza della singolarità, ma con scarso successo per ora. Ma qui andiamo troppo sul tecnico.
Insomma, sarebbe bello poter dire: ”Vado a vivere nell’universo accanto, che questo non mi garba.”, come farebbe chi lascia la città dove vive per trasferisi altrove.


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